Vaṇgīsa, parte II

XII
Una volta, quando il Buddha era seduto nei pressi del laghetto di loti di Gaggarā vicino alla città di Campā, circondato da una grande assemblea, il Venerabile Vaṇgīsa compose questa strofa a suo elogio:

«Come sa splendere la Luna
nel cielo libero da nubi,
come pure l’immacolato Sole,
così tu, Risplendente, Grande Saggio,
con la tua fama più e più
brilli davvero sull’intero mondo».

Buddha (thangka painting), Tempera on cotton, 19 x 26 cm, Year 2004, Otgonbayar Ershuu from Wikimedia Commons

Continuiamo in questo post la traduzione dell’introduzione del saggio “Vaṇgīsa, An Early Buddhist Poet”, di John D. Ireland; questa sezione si sofferma sui poemi tramandati.
La prima parte contiene invece la biografia di Vaṇgīsa.

L’argomento dei poemi è vario.

I primi quattro poemi mostrano Vaṇgīsa mentre articola la sua lotta interiore per superare vari fallimenti e ostacoli elementari: pensieri sensuali, dubbio, attaccamento, punti di vista, orgoglio e presunzione, tutti modi di pensare con cui non dovrebbe trastullarsi chi ha scelto la via del Rinunciante.
Il più importante tra questi difetti è il desiderio sensuale, che sorge attraverso il contatto non sorvegliato (dalla mente) con visioni, suoni, ecc. che appaiono desiderabili.

Nel primo poema questi oggetti del desiderio sono concepiti come strumenti di Māra, il Malvagio, per sopraffare la mente e prevenire il progresso sul sentiero.

Il quarto poema mostra come i desideri sensuali, una volta sorti, possano essere estinti e dissipati da appropriate attitudini e pratiche di meditazione. In quest’ultimo poema ci si potrebbe chiedere se sia effettivamente il venerabile Ānanda a essere indicato come “Gotama” o il Buddha stesso. Tuttavia, il problema si dissolve se capiamo che alla domanda di Vaṇgīsa risponde comunque il Buddha, la cui parola è stata memorizzata e trasmessa attraverso il suo discepolo Ānanda.

Il quinto poema è unico nell’essere un riassunto in versi di un sermone del Buddha sulla verità come “parola ben parlata”. Questo poema si trova anche nel Suttanipāta (Sn 451-54), e il fatto che le tre versioni differiscano appena potrebbe indicare che godesse di ampia popolarità.

Il sesto è il primo di tre schizzi relativi a discepoli del Buddha.

Qui incontriamo Sāriputta; gli altri sono Koṇḍañña (n. X) e Mahāmoggallāna (n. XI). Questo poema dà una rara visione di Sāriputta come un esperto insegnante e oratore in grado di catturare i monaci con la sua voce piacevole.

“Tutti sono figli del Fortunato…” (v.1237): che i discepoli arahant del Buddha siano considerati come i suoi “figli” è un’idea ricorrente nel Theragāthā e altrove. Nell’Itivuttaka il Buddha dice: “Monaci, … voi siete miei figli legittimi, nati dalla mia bocca, nati dal Dhamma, modellati dal Dhamma, eredi del Dhamma, non eredi di cose materiali “(It 100).

Nel v.1248 Vaṇgīsa chiama l’anziano Koṇḍañña “l’erede del risvegliato” e nel v.1279 Nigrodhakappa “un vero figlio del nāga” (cioè del Buddha). L’idea è estesa in Thag 536, dove Kāludāyin in realtà si rivolge a Suddhodana, il padre naturale del Buddha, come suo nonno!

È tradizione che il Buddha avesse un figlio chiamato Rāhula, che divenne monaco. Ma il Venerabile Rāhula che si incontra nel Sutta Piṭaka, quando viene chiamato figlio di Buddha, non ha alcuna pretesa speciale oltre quella di qualsiasi altro discepolo. Nei sutta, Rāhula è ritratto come il monaco principiante ideale, desideroso di istruzione nell’insegnamento.

I poemi VIII e IX esaltano il Buddha e il suo insegnamento, e nel v.1241 il poeta in realtà si riferisce a se stesso per nome.
Il XII consiste di un solo verso che elogia il Buddha.

Il XIII è la dichiarazione di Vaṇgīsa del raggiungimento di aññā (scr. ajñā), ovvero il conseguimento della conoscenza finale o stato di arahant. Fino a questo punto le differenze tra le versioni dei poemi nel Theragāthā e nel Vaṇgīsa-samyutta sono state secondarie.

Ma i versi di questo poema sono così diversi da quelli del Vaṇgīsa Sutta nel Samyutta Nikāya che esso dovrebbe essere considerato come un poema separato. È quindi inserito come Poema XIV per motivi di completezza e per scopi di confronto.

Note sul Vaṇgīsa Sutta

Il poema finale di questa antologia (n. XV), come già indicato, manca dalla collezione Samyutta. Tuttavia, una versione corrispondente si trova in Sn 343-58, chiamato differenetemente: Vaṇgīsa Sutta, Kappa Sutta o Nigrodhakappa Sutta.
A parte la lunghezza assai maggiore, questo poema differisce dai precedenti in vari altri modi. Il fatto che esso si rivolga direttamente al Buddha e che sia in uno stile più elaborato, persino stravagante, lo distingue dal più semplice, non elaborato verseggiare dei poemi precedenti.

Espressioni come quella nel v.1266 riferentesi a “Sakka dai mille occhi”, sono caratteristiche di un tardo periodo della composizione in Pāli.
E in effetti il paragone tra la voce del Buddha e il suono di un’oca (v.1270) è un artificio letterario che suggerisce la poesia altamente ornata di un’epoca molto più tarda. Che l’anziano sia variamente chiamato Nigrodhakappa, Kappa, Kappiya, Kappāyana, si spiega, naturalmente, per la necessità di adeguarsi ai requisiti del metro poetico.

Anche se il poema su Nigrodhakappa è apparentemente una richiesta al Buddha per informazioni sul conseguimento dell’anziano defunto, insegnante di Vaṇgīsa, il modo e la persistenza del “bisogno di parlare di Dhamma” e altre espressioni simili sottendono un significato più profondo.

Un’idea di base è che il Buddha solo, quando proclama il Dhamma, è in grado di produrre un effetto profondo sui suoi ascoltatori (il significato letterale di sāvaka). È in grado di stabilirli sul nobile sentiero del sotāpanna, ecc. -almeno quelli che sono pronti a riceverlo- tramite le sue fluenti parole di Dhamma, e apparentemente senza alcuna precedente pratica da parte dei destinatari. Questo è un dono speciale esercitato dal Buddha solo e non dai suoi discepoli. Sebbene questa idea non sia stata particolarmente sviluppata nel Theravāda, che sottolinea il lato umano del Buddha, essa era un fattore che colpiva le altre scuole buddhiste indiane e il cosiddetto Mahāyāna, che tendeva a enfatizzare la natura trascendentale del Buddha.

Torna Su Vai al Blog Vai alla Categoria