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PoMaC – Il Racconto §4

category image: TreeInACircle

Spiritualità

The birds have vanished down the sky.
Now the last cloud drains away.
We sit together, the mountain and me,
until only the mountain remains.
_ Li Po (Li Bai) _

 

Dopo un paio di chilometri d’asfalto, in leggera salita, sono all’ingresso del parco eolico di Monte Vitalba.
La sbarra sulla strada riserva il passaggio ai soli mezzi motorizzati autorizzati; un sentierino aggira l’ostacolo e permette il passaggio a podisti e ciclisti (in altre occasioni qui ne avevo incontrati, ma oggi nessuno). La strada di servizio sale per altri chilometri con tornanti ora larghi ora stretti, fino alla vetta che -seppur bassa- è il punto più alto della zona e del PoMaC (675 m slm).
Sono sulle gambe ormai da tante ore: provo a correre ma sùbito mi passa la voglia. Forse sto risentendo anche del caldo (qui non c’è rifugio d’ombra): cammino ignominiosamente su una strada dal fondo spianato e facile!
Posso tagliare una curva d’asfalto saltando fra grosse pietre.
Per un momento il richiamo della Terra trasforma la fatica e governa l’andatura.
Riprendo a camminare; mi sprono a procedere di buon passo eppure prima d’arrivare in vetta mi sembra sia trascorso un lungo tempo.

Le pale eoliche col loro metodico rombare nella solitudine esercitano su di me una strana influenza.
Immagino donchisciotteschi combattimenti, fra schivate abili e rovinose cadute nella polvere e arti lacerati.
Sogno l’elica mentre delicatamente si sgancia dal palo e non si disintegra, bensì s’invola al di sopra delle nubi d’oscurazioni, con me seduto al centro su un cuscino di fiori di loto.

Là dove la vista non è oscurata dalla vegetazione o dalle pale eoliche, lo sguardo può abbracciare l’ampio panorama, la cui essenziale maestosità verde cupo, nello sfondo di grigie nubi cangianti, ripaga d’ogni fatica e scoramento (click sull’immagine sottostante per ingrandire).

La strada che insegue le torri inizia a scendere leggermente e diventa sterrata.
Allora corro, e non ci sono più.

La pendenza aumenta e il fondo è sdrucciolevole; ma il tracciato svolta decisamente su uno stretto sentiero.

Il sentiero poi s’impenna bruscamente come nel secondo ramo d’una V.
Un’altra salita ripida e breve e sono a Poggio Pianacce, all’innesto col trekking detto Sassi Bianchi, un irregolare anello che aggira in parte Castellina Marittima.
Direzione La Madia (dove la fontana che cercavo fu portata via!).

Ampi sentieri salgono e scendono, fra il sole cocente e l’ombra che ridesta.
Le gambe girano con durezza, ma le mie tappe mentali sono ravvicinate; affronto le brevi salite con passo tranquillo e riesco a correrle tutte.

Ecco l’incrocio della Madia, da cui sentieri come tentacoli s’intrecciano e si dipartono.

La scura discesa verso la zona di Gabriccioli, ultimo tratto prima della prossima sosta.

In corrispondenza della curva avevo posizionato un grosso tronco indicatore, che deve aver dato fastidio a qualche Umano poiché lo ritrovo gettato fra gli arbusti; così però ostacola lo sviluppo della pianta (magari di notte ospiterà uno gnomo): sposto il tronco un po’ più in là. Spero che le guardie forestali -se ancora davvero ne esistono (d.l. 177/2016)- siano soddisfatte.

 

Dalle aspre e assolate vette delle colline i sentieri continuano a scendere districandosi dolcemente fra la vegetazione e affiancando isolati poderi.
Il piede è leggero, la stanchezza sembra scomparsa, la fontana è prossima.

Oltrepasso la catena che separa il sentiero dalla strada provinciale, ed ecco di fronte a me la terza fontana, 43° km.
L’acqua che fluisce dalle sue tre bocchette sembra esser tenuta in gran considerazione, osservando quante persone si fermano qui con ampie collezioni di brocche e bottiglie. Tolgo lo zainetto dalle spalle, bevo abbondantemente, faccio scorta d’acqua nel camel bag; lo stomaco non è a suo agio così getto l’ultimo panino -di cui non riesco a vincere l’afrore di decomposizione- in un cesto, sgranocchio una barretta, rumino mela e banana, congratulandomi mentalmente con la fontana ombrosa e con chi l’ha costruita proprio lì.

E m’accingo a risolvere un problema tecnico manifestatosi ormai vari chilometri fa.

Come gocce di pioggia sporca (Woolf)

Occorre fare un passo indietro (e l’espressione è qui quanto mai appropriata).
I lettori/le lettrici più attenti/e avranno notato che da un paio di capitoli la risoluzione delle foto è drammaticamente calata.
Infatti da Fontana del Tiglio il telefono che usavo come attrezzo di fotografia aveva esaurito la carica (e fin qui nulla di male), ma -pur connesso al pannellino solare, quest’ultimo perfettamente attivo e con cavo senza difetti- non si ricaricava.
Perché? Non avevo voglia di approfondire.
Allora avevo iniziato a scattare foto con l’altro telefono, quello con funzione di navigatore; ma non avevo considerato che era impostato per salvarle in bassa risoluzione.
E adesso anche il telefono multifunzionale è scarico. Anch’esso non si ricarica.
Perché!? Ora devo, pur controvoglia, approfondire.

Da questo punto attraverserò un tratto del PoMaC non vasto -circa 8 km-, tuttavia mai provato, di cui non conosco gli intrecci; né la memoria della mappa mi sovviene in aiuto.
Provo con attenzione a inserire e disinserire entrambi i cavetti nelle porte usb: niente ricarica.
Li muovo per testarne eventuali rotture: niente ricarica, neanche per un istante.
Noto che talvolta, in corrispondenza di un inserimento, i led sul pannello solare si spengono, e lo stesso va riattivato.
Comunque niente ricarica.
La mente si distacca dalla corsa -è quasi una lacerazione del pensiero- e si dispone sul versante tecnico: potrebbe trattarsi di un cortocircuito.
Ma non nei cavi. Dunque nel telefono. In tutti e due!
Perché no, si tratta dello stesso modello.
Fletto la copertura posteriore, tolgo la batteria. Dietro la batteria, poco sopra lo spinotto usb, gocce d’acqua.
Anche l’altro telefono si presenta nella stessa condizione.
La pioggia della mattina… penetrata fin lì nonostante la custodia impermeabile (?).

Asciugo l’interno dei telefoni e attendo qualche minuto.
Riassemblo, chiudo, innesto, accendo.
Un telefono inizia a caricarsi.
Avvio di nuovo il gps, che dopo qualche prevedibile stento fissa il segnale.
L’altro telefono sceglie di rimanere nel suo ozio privo d’elettroni; ma uno è sufficiente.
Ho la mia via, posso ripartire!


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